Cos'è il Terzo Settore Cos'è il Terzo Settore

Da una quindicina d'anni si discute di terzo settore (il privato e lo Stato sono gli altri due), senza essere approdati ad una teoria che chiarisca in modo definitivo quali siano i caratteri costitutivi di questo composito aggregato di attività, sovente definito anche come società civile, privato sociale, economia sociale, associazionismo non-profit, volontariato,ecc.

Il problema fondamentale è che il terzo settore rappresenta un campo di azione nel quale agiscono i meccanismi che sono propri sia dello Stato che del mercato, ma che né lo Stato né il mercato riescono - singolarmente - a presidiare in modo efficace.

A lungo si è coltivata l'illusione che il welfare potesse comporre una volta per tutte il dualismo Stato-mercato, ma le crisi che negli ultimi anni hanno scosso un po' tutti i sistemi di quella specie, hanno finito per riproporre l'antica antinomia tra pubblico e privato.

D'altro canto è un po' sotto gli occhi di tutti come lo Stato si sia rivelato uno scadente amministratore di risorse. C'è, a questo proposito, una eloquente metafora utilizzata dall'economista Arthur Okun per spiegare tale insuccesso: il welfare - dice Okun - è come un secchio bucato con il quale viene trasportata la ricchezza dal benestante al povero, per strada (ossia nell'opacità dei meccanismi burocratici, nell'intermediazione politico-clientelare, nelle pieghe dei settori nevralgici dell'intera collettività), parte di questa ricchezza si perde ed il povero riceve solo una modesta parte della ricchezza prelevata.

Tuttavia nel momento in cui si riafferma la superiorità allocativa dell'impresa ecco che solidarietà, generosità, attenzione per i più deboli, divengono categorie ingombranti che disturbano il manovratore. Il Cardinale Tettamanzi ricordava tempo addietro i rischi insiti nel ripiegamento sull'interesse individuale o su quello di gruppo, e come tale ripiegamento costituisca la principale barriera all'esigenza di una crescita organica capace di mitigare le tensioni sociali. Quando poi, come di questi tempi, le difficoltà economiche mondiali disarticolano il processo di sviluppo, si assiste ad un generale appiattimento dell'orizzonte economico sul quotidiano, nella affannosa ricerca di risultati immediati a danno dei progetti di lungo termine e con essi di tutti gli investimenti, ricerca ed innovazione comprese, che sono invece la migliore garanzia per una progressiva, diffusa crescita dell'intera collettività.

Ecco allora che si fa strada il "terzo settore", nel quale convivono una miriade di soggetti, di iniziative, di organizzazioni, che sovente si sovrappongono ma che sono potenzialmente capaci di dar vita ad un nuovo welfare ove appunto gli operatori siano un po' meno quelli statalmente definiti e un po' più quelli espressi direttamente dalla società civile.

L'idea che tutto quel mondo variopinto di organizzazioni faccia parte di un unico settore sconta certamente notevoli imprecisioni ma ha l'utilità di chiarire che, pur nella loro diversità, quelle stesse organizzazioni riaffermano l'esistenza di un'area di bisogni che deve essere comunque presidiata.

Nonostante tale varietà, risultano abbastanza delineati gli elementi che caratterizzano il terzo settore. Vale a dire:

  1. esso identifica uno spazio sociale inedito, non riconducibile a quelli regolati dallo Stato e dal mercato, spazio ove si trovano ad operare soggetti capaci di elaborare forme autonome di organizzazione sociale;
  2. tutta quest'area è portatrice di un'azione solidaristica più originale e più fresca di quella espressa dal welfare state.
  3. il fine non lucrativo, che è elemento comune a tutte le organizzazioni della specie;

Tutto ciò prelude, come dicevamo, alla costruzione di una nuova forma di solidarietà sociale fondata su un ruolo meno pervasivo dello Stato e un maggior spazio di iniziativa e di responsabilità da parte delle organizzazioni espresse dalla società civile le quali, proprio per la loro collocazione intermedia, costituiscono la migliore garanzia contro la radicalizzazione del rinato dualismo tra Stato e mercato. Sembra ormai assodato che nelle società post-industriali le organizzazioni del terzo settore saranno destinate ad assumere una funzione non residuale ma centrale e permanente.

Questa omologazione rende urgente una mappatura più precisa del terzo settore sia sotto il profilo legislativo come pure da un punto di vista sociale, senza tuttavia aspirare ad una impossibile chiarezza di confini, trattandosi di un fenomeno in continua evoluzione che non può quindi essere inquadrato con criteri troppo rigidi.

E' comunque un dato di fatto che le vecchie categorie con finalità non economiche previste dal nostro codice, non sono più idonee a rappresentare - da sole - la galassia degli organismi che affollano il terzo settore. Alle fondazioni, associazioni e comitati, che sono gli unici istituti previsti dal nostro codice civile, si devono aggiungere nuovi organismi attraverso ulteriori interventi del legislatore tesi a rendere più organico questo panorama. La recente innovazione legislativa, peraltro, ha già abbandonato la visione tradizionale secondo la quale il terzo settore svolgeva una funzione esclusivamente complementare rispetto all'intervento dello stato. Nel 1991 è stata infatti varata la legge quadro n°266 sul volontariato e nel 2000 la legge n°383 che disciplina le associazioni di promozione sociale. Un ulteriore importante contributo è, inoltre, venuto dal dlgs 460 del 1997 che pur trattando materia fiscale, ha finito per introdurre una nuova categoria: le organizzazioni non lucrative di utilità sociale (acronimo onlus). Esse non rappresentano una particolare figura soggettiva ma solo una autonoma e distinta categoria che assume rilievo esclusivamente a fini fiscali. Il Dlgs 460/97 non si è tuttavia limitato ad integrare la precedente normativa fiscale dettata per gli enti non commerciali dal tuir 917/86, ma ha introdotto una nuova Authority - l'Agenzia per il terzo settore - che nel tempo è destinata ad assumere un importantissimo ruolo di coordinamento-revisione-controllo, di tutte le organizzazioni che ruotano attorno al terzo settore. Per completare il quadro legislativo recente dell'area nonprofit è opportuno ricordare anche la L.381/1991 sulle Cooperative Sociali, la L.49/1987 sulle Organizzazioni non governative, nonché le normative sulle Fondazioni Bancarie, gli Enti Ecclesiastici, le Associazioni sportive, i Cral, le ex-Ipab, le Associazioni pro-loco, gli Enti religiosi di altre confessioni, gli Enti Lirici, gli Istituti di patronato ed i Centri di formazione professionale.

Un'ultima notazione per definire le dimensioni di questo straordinario fenomeno espresso dal terzo settore, il quale ogni giorno di più si sta rivelando in grado di interloquire autorevolmente con istituzioni, governi e imprese. Nel mondo ci sono 10 milioni di organizzazioni non-profit che con i loro 19 milioni di lavoratori (esclusi naturalmente i volontari) e 1100 miliardi di dollari di fatturato, rappresentano l'ottava economia mondiale. Nel nostro paese si calcola che l'intero settore ruoti attorno a 220.000 organizzazioni distribuite quasi omogeneamente su tutto il territorio.

C'è insomma quanto basta per sperare che i valori di responsabilità e di solidarietà, gli unici che in realtà tengono insieme il mondo e conferiscono significato al vivere, conoscano una nuova stagione di condivisione e di diffusione.

 

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