Cronaca
In una recente intervista, il primo cittadino di Roma racconta che la sua ossessione, sin da giovanissimo, è stata quella di stabilire il momento dell’uscita di scena. “Un po’ come ha fatto Marcello Lippi. Credo che la grandezza di una persona si misuri veramente soltanto nel momento in cui si ritira, e deve farlo prima, molto prima, che il sipario gli venga calato in faccia”.
Uno studio dell’Università Politecnica delle Marche, realizzato nel corso del 2005 su un campione di 3.500 PMI di Veneto, Emilia-Romagna, Marche e Abruzzo, reduci da una recente successione generazionale, ha messo in luce un calo di redditività nei primi tre anni successivi al passaggio del testimone.
Talvolta accade che alcuni eredi non si rivelano all’altezza del compito di governare un’impresa ed in genere sono quelli stessi che ostacolano la conduzione di coloro che magari ne avrebbero i numeri. Tali situazioni sfociano in una costante litigiosità generata da una sostanziale divergenza sugli obiettivi da raggiungere, sui progetti da perseguire, sui metodi con i quali realizzarli.
Oggi con l’introduzione del patto di famiglia, il rischio della dissoluzione dell’impresa per effetto della scomparsa del suo capo, è sicuramente molto ridimensionato.
Sarebbe tuttavia ingenuo pensare che il patto di famiglia possa risolvere tutti i complessi problemi legati alla trasmissione della ricchezza familiare. Il divieto dei patti successori e la disciplina della successione necessaria sono ancora ben presenti nel nostro ordinamento e, seppure in misura minore rispetto al passato, potrebbero ancora rappresentare degli ostacoli nel quadro di una strategia di passaggio generazionale dell’impresa familiare che possa dirsi pienamente sicuro ed efficace. Ad esempio il tema dell’invalidità del patto è un ambito nel quale è maggiormente evidente la scarsa attenzione che il legislatore ha avuto nell’elaborare le nuove norme.
L’invecchiamento della classe dirigente italiana indica un preoccupante immobilismo che innegabilmente rallenta la ripresa del Paese.
Uno studio di Glocus a cura di Giovanni Canepa (il Sole 24 Ore del 14/02/06) riferisce che dal 1998 al 2004 il peso dei settantenni nelle élite è cresciuto dal 18,8% al 23,4% e quello degli ultrasessantenni dal 27,4% al 30,4%. A scendere sono invece gli ultracinquantenni che dal 31,7% si posizionano al 24,3%, mentre i giovani davvero cedono al “Mibtel del potere” quasi un punto.