Contabilità e Bilancio nel Terzo Settore Contabilità e Bilancio nel Terzo Settore

Ancora oggi i termini “bilancio” e “contabilità” non riscuotono grande simpatia nel mondo del c.d. “terzo settore”. Le organizzazioni che operano nel non profit (ONP ma anche ANP = Aziende Non Profit) hanno sovente guardato agli aspetti di rendicontazione con una certa sufficienza. E questo per almeno due motivi. Il primo è un benevolo luogo comune che accredita le organizzazioni non profit come buone per definizione, mentre il secondo scaturisce da una ardita equivalenza molto diffusa specie nel volontariato: gratuità fa rima con fiducia; in sostanza si tratta di un atteggiamento autoreferenziale, come se i principi di generosità e altruismo escludessero automaticamente il rischio di un uso improprio o inefficiente delle risorse.

Le cose tuttavia non stanno esattamente così. Nelle società libere, ciascuno (persona, organizzazione, impresa) ha la responsabilità delle proprie azioni, perché libertà e responsabilità camminano di pari passo. E dunque vige per tutti il dovere morale della trasparenza su ciò che si è realizzato e su quanto si va realizzando.. Ebbene, queste considerazioni valgono in maniera ancor più decisiva per le organizzazioni del terzo settore. Esse infatti debbono “dare conto”, quanto e più delle aziende for profit, della loro attività, delle loro scelte, di come e quanto efficacemente hanno impiegato le risorse economiche ricevute.

La rendicontazione trova infatti fondamento nel concetto sopra accennato di “responsabilità sociale” che si va sempre più affermando in tutte le espressioni dell’attività umana, ma che è decisamente ineludibile per le organizzazioni che operano nel terzo settore le quali debbono aspirare a lavorare, come si dice, in una casa di vetro.

I paesi di lingua inglese hanno coniato un neologismo che definisce questo modo di operare: accountability che è la felice sintesi tra accountable, vale a dire trasparente, affidabile, coerente con le decisioni assunte, e responsibility che esprime invece il concetto di responsabilità nei confronti dei rispettivi interlocutori per tutto ciò che viene fatto e detto.

La contabilità deve perciò registrare e monitorare la vita dell’ANP nel quadro di tutte le iniziative che essa ha intrapreso nell’intento di dare concretezza alla propria missione. Parimenti il bilancio diviene lo strumento per verificare, attraverso i risultati, se e quanto  l’operato sia stato efficace e adeguato.

Per leggere ed interpretare le scritture contabili del terzo settore, è necessario tuttavia anteporre alcune considerazioni preliminari. Sebbene le procedure di scritturazione siano sostanzialmente le medesime (libri contabili, regole di registrazione, etc.), il significato della “gestione” differenzia - quasi contrappone - il mondo for profit da quello non profit. Nel primo infatti i costi sostenuti per acquisire le risorse immesse nel processo produttivo, sono funzionali all’output: i ricavi dei servizi e dei prodotti venduti sul mercato costituiscono cioè l’essenza dell’impresa, la sua ragione d’essere. Per misurare invece la compliance, vale a dire l’attitudine di una organizzazione non profit a perseguire la propria missione, occorre invertire il senso di costi e ricavi. L’output delle ANP, il loro ”prodotto”, viene ad essere espresso dai costi, da ciò che in sostanza esse realizzano in termini di assistenza, ricerca, tutela, promozione, generosità, altruismo, etc. Tutte queste multiformi attività misurano infatti gli “investimenti” delle organizzazioni non profit. In quest’ottica quindi le risorse ottenute (cioè i c.d. proventi) finiscono per assumere una funzione meramente strumentale; irrinunciabile naturalmente, ma comunque strumentale.

Per analogia il risultato di bilancio esprime significati differenti: nel mondo imprenditoriale esso dice se e quanto l’azienda for profit ha raggiunto il suo scopo di remunerazione del capitale investito, mentre il messaggio implicito dell’ “avanzo” di una organizzazione non profit è quello di non aver “investito” integralmente le risorse intercettate; viceversa nel caso di un “disavanzo”, che segnala a quel punto la necessità da parte dell’ANP di ricercare i mezzi economici collocati in eccesso.

Prima di esaminare più da vicino l’impianto contabile, è necessario soffermarsi un attimo sulla grande eterogeneità del terzo settore, costituito da una galassia di organizzazioni che rende improbo ogni tentativo di uniformarne le indicazioni operative. Le ANP si differenziano infatti sia sotto il profilo giuridico, che per quello economico-aziendale, ma anche dal punto di vista dei campi di attività e da quello tributario. E’ per tale motivo che le “raccomandazioni contabili” dell’Ordine Nazionale dei Dottori Commercialisti (una decina in tutto) risultano inevitabilmente abbastanza generiche ed affidano al buon senso dei destinatari i necessari adattamenti alle situazioni specifiche. Anche la lodevole iniziativa dell’Agenzia per le Onlus di costruire uno standard di bilancio, non è andata oltre l’indicazione di una serie di linee guida (poco più che suggerimenti che lo stesso Presidente dell’Agenzia – nel presentarle alla stampa a metà del 2008 – si è affrettato a precisare che non costituiscono un atto di indirizzo, né una formula vincolante), linee guida che scontano quella accennata grande eterogeneità del Terzo Settore, ove appare velleitario dettare norme che possano rivelarsi valide per tutti.

A conferma della complessità di questo quadro di riferimento, l’Agenzia per le Onlus (destinata a diventare Authority del Terzo Settore) è ulteriormente intervenuta sul tema della reportistica dell’’”impresa sociale”, l’ultima creatura del mondo non profit istituita con Dlgs n° 155 del 24 Marzo 2006.

Le imprese sociali – un po’ come accade per le Onlus in ambito fiscale – costituiscono non tanto una categoria in sé, quanto piuttosto un contenitore - in questo caso giuridico - del quale possono avvalersi tutte quelle organizzazioni che presentano i requisiti previsti dall’art.2 della norma istitutiva.

Proprio in fatto di elaborazione dei bilanci delle imprese sociali, l’Agenzia per le Onlus ha emanato ulteriori specifiche linee guida così come previsto dal Decreto del Ministro della Solidarietà Sociale del 24 Gennaio 2008. L’intento era quello di predisporre gli “schemi” di bilancio, in modo che si ritenesse concluso l’iter normativo per la costituzione di una impresa sociale. Ebbene, tali linee guida, ancor prima di vedere la luce, hanno scontato tutte le difficoltà rappresentate dalla ricordata grande eterogeneità dell’aggregato composito cui sono destinate. Ne è uscita una soluzione salomonica che ha finito per creare – almeno sotto il profilo contabile – due diverse categorie di “impresa sociale”, prevedendo l’applicazione di norme differenti per quelle  che sono in realtà società commerciali di cui al Libro V del C.Civ. (e per le quali valgono gli art. 2423 e segg. del C.Civ.) e quelle che invece rientrano tra le organizzazioni non profit di cui al Libro I C.Civ. (associazioni e fondazioni). Di fatto, quindi, le nuove indicazioni dell’Agenzia finiscono per valere solo per questa seconda categoria di imprese sociali. Si è avuta così la conferma della conclamata impossibilità di trovare uno standard di rendicontazione valido per tutto il terzo settore. L’ircocervo che ne è nato ha avuto almeno il merito di ribadire che la semplificazione e l’uniformità non debbono andare a detrimento della significatività della rappresentatività.

Del resto, sotto questo profilo, neanche la ventilata revisione del Libro I del C.Civ. potrà dare un contributo sostanziale, in quanto sembra si proponga di sostituire la vecchia classificazione (associazioni, fondazioni, comitati) con due nuove categorie: member service (quelle che svolgono la loro attività nei confronti dei rispettivi membri) e le public service (che si rivolgono al pubblico), che finirebbero per riproporre il medesimo problema in termini diversi.

Se ne conclude che l’impegno della rendicontazione deve essere quello di ricercare soluzioni che rispondano alle esigenze delle singole categorie di ANP, stante anche la sovrapposizione della normativa fiscale. Senza affatto negare l’utilità di cogliere tutte le affinità e le regolarità che presentano situazioni similari, è preferibile privilegiare la capacità espressiva dei procedimenti contabili, piuttosto che l’uniformità dei comportamenti e gli automatismi. Ciò significa, per altro verso, rinunciare anche alle procedure semplificate comprese quelle ammesse dal Fisco, perché non vi è interesse da parte delle ANP di ricorrere a scorciatoie di alcun tipo quando si tratta di documentare l’attività da esse svolta. Questo non significa creare apparati burocratici. La chiarezza va infatti a braccetto con la semplicità. Se l’obiettivo è quello di essere trasparenti, efficaci, motivati nel perseguimento di una missione condivisa, allora la struttura organizzativa e quella contabile non saranno mai d’impaccio. Il rischio del barocco contabile viene caso mai da un altro fronte, quello cioè di un possibile affievolimento della spinta vitale dell’organizzazione. Solo allora, infatti, l’ossificazione burocratica si fa strada. Non è un mistero che quando la fede finisce, la liturgia diventa centrale.

Vediamo allora più da vicino in quale modo le ANP possono rendere conto ai propri stakeholder (tutti coloro, cioè, che sono interessati a conoscere iniziative e risultati dell’attività svolta: sostenitori, beneficiari, operatori interni, volontari, partner commerciali e finanziari, collettività di riferimento, Pubblica Amministrazione) di quanto efficacemente hanno impiegato le risorse ricevute, dello spessore della loro accountability, di come e quanto hanno adempiuto alla loro responsabilità sociale.

L’impianto contabile-amministrativo varia sostanzialmente a seconda che l’ANP svolga o meno, accanto a quella istituzionale, anche un’attività commerciale accessoria. Questa eventualità, apparentemente di scarsa rilevanza, finisce in realtà per complicare non poco le cose. Compito del bilancio è, come abbiamo visto, quello di attestare come e quanto l’ANP abbia adempiuto alla propria missione. Ebbene quando i proventi sono costituiti esclusivamente da pure e semplici donazioni, l’ottica del bilancio rimane comprensibilmente quella della semplice documentazione dell’efficienza allocativa delle risorse ricevute. Ma quando, per allargare il fronte dei proventi, l’ANP svolge anche un’attività para-economica (consentita dalle norme) i cui proventi (al netto dei costi sostenuti per ottenerli) vengono anch’essi destinati all’attività istituzionale, il quadro inizia a complicarsi. Il bilancio a quel punto deve testimoniare come tale attività commerciale non ricalchi quella ortodossa,  ma sia integrativa dell’attività istituzionale ed abbia altresì carattere di marginalità soprattutto per escludere che essa possa diventare base imponibile per il Fisco. In genere questo obiettivo viene ottenuto attraverso forme di contabilità separata che documentino come il saldo tra ricavi e costi dell’attività commerciale accessoria costituisca un ulteriore provento (al pari delle liberalità) dedicato esclusivamente al servizio della missione dell’ANP. E fin qui, l’ottica del bilancio riesce a rimanere quella dell’organizzazione nata per catalizzare risorse da destinare ai dettati istituzionali. Risorse insomma che, comunque raccolte, rimangono strumentali al perseguimento della mission.

Va però messo in conto che anche un impianto dichiaratamente solidaristico, possa facilmente trasformarsi in una vera e propria azienda for profit, sia involontariamente come pure per deliberata malversazione.

Da un punto di vista meramente fiscale, questa deriva viene contrastata dalla normativa sulle Onlus (le quali non costituiscono un’autonoma particolare categoria di ANP, visto che la loro è una veste puramente fiscale che viene attribuita su richiesta o è riconosciuta di diritto dal Dlgs 460/97, come nel caso delle associazioni di volontariato, delle organizzazioni non governative e delle cooperative sociali), normativa che fissa i parametri entro i quali deve svolgersi l’attività accessoria di una organizzazione non profit affinché rimanga tale e non si trasformi in un money maker, come invece, purtroppo, mostrano alcuni casi di solidarietà tradita che la stampa porta periodicamente all’attenzione del pubblico.

Nei casi in cui l’attività commerciale da accessoria diviene prevalente - al di là delle non trascurabili conseguenze di natura fiscale – viene a determinarsi una vera e propria metamorfosi dell’ANP, ove i proventi divengono il fine e non più il mezzo ed il rendiconto reinterpreta il tradizionale ruolo di sintesi dei profitti e delle perdite.

Cubo di NeckerQuesto possibile capovolgimento dell’ottica gestionale delle ANP, modifica in maniera sostanziale il quadro solidaristico che, disatteso, finisce per diventare espediente. Più o meno come avviene nel cubo di Necker della figura accanto ove la diversa prospettiva altera la sostanza del solido senza modificarne la forma.

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Dopo questa lunga premessa, passiamo a descrivere una ipotesi di impianto contabile utilizzabile da una vasta platea di ANP. L’insieme dei fatti economici di un esercizio confluisce in un elaborato (in realtà una serie di elaborati) che deve sforzarsi di rispondere a quella esigenza di rappresentazione e comunicazione della missione dell’ANP più volte richiamata..

Gli elementi del bilancio di una ANP sono sostanzialmente i seguenti::

  • lo stato patrimoniale,
  • il rendiconto delle gestione,
  • la nota integrativa,
  • il prospetto rappresentativo dell’evoluzione del patrimonio netto,
  • la relazione di missione.

Quello che segue è uno schematico commento a margine di tali singoli elementi, trascurando il piano dei conti che diviene un semplice corollario.

Stato Patrimoniale. Lo schema proposto per le ANP riprende la struttura di base di quello previsto per le imprese dall’art. 2424 del C.C. con alcune modifiche e aggiustamenti che tengono conto delle peculiarità che caratterizzano la struttura del patrimonio di tali organizzazioni. Modifiche e aggiustamenti che però necessitano di essere ulteriormente profilati alle singole realtà affinché ogni tipicità possa essere adeguatamente espressa e rappresentata. (Sovente è la norma istitutiva che si sofferma su questa tipicità: per le cooperative sociali, i partiti politici, le fondazioni bancarie e gli enti lirici, è la stessa legge a fornire la struttura di bilancio ad hoc). Per ciò che concerne gli aspetti valutativi, i valori di periodo debbono essere sempre confrontati con quelli di almeno due esercizi precedenti. Se vi sono modifiche nei criteri di valutazione, esse debbono essere illustrate a parte nella Nota Integrativa.

Rendiconto della gestione. Lo scopo fondamentale di tale elaborato è quello di illustrare, attraverso il confronto di oneri e proventi, la allocazione delle risorse intercettate ed in quale modo si è pervenuti al risultato finale che, ripetiamo, nelle ANP autentiche testimonia il sopra o sotto-utilizzo dei mezzi economici affluiti all’organizzazione. Anche il Rendiconto, come il Conto Patrimoniale, necessita di essere calato nella realtà della singola ANP.

Nota Integrativa. Essa ha la funzione di illustrare o integrare i dati e le informazioni contenute nello Stato Patrimoniale e nel Rendiconto della gestione.

Prospetto di rappresentazione della movimentazione delle componenti del patrimonio netto. Tale documento assurge a grande importanza nelle aziende non profit ove la scomposizione del patrimonio netto tra risorse disponibili per la normale attività e quelle specificatamente subordinate alle indicazioni del donante/disponente, costituisce elemento che caratterizza queste organizzazioni, soprattutto quelle che vivono di erogazioni e lasciti. Oltre alle liberalità generiche, assumono così rilievo quelle con vincolo di scopo e quelle con vincolo di tempo, le quali debbono trovare puntuale riscontro nel sistema di scritture.

Relazione di Missione. Per le ANP non è sufficiente dare conto del loro stato patrimoniale tramite il solo bilancio d’esercizio tradizionalmente inteso, ma occorre completare il quadro di sintesi attraverso adeguate informazioni circa la dimensione sociale dell’organizzazione, in coerenza con la sua missione. Si ricorre allora alla Relazione di Missione, la quale deve porre l’accento non tanto sugli introiti e le eventuali rendite patrimoniali, quanto piuttosto sulla loro dinamica, essendo l’equilibrio economico-finanziario condizione per la sopravvivenza nel tempo di tutte le aziende, e quindi anche di quelle non profit. Per completare l’attendibilità dell’analisi costi/benefici, è utile servirsi anche di indicatori di efficacia costruiti allo scopo. Quelli che nelle aziende for profit vengono chiamati indici o ratios. Particolarmente utili si rivelano gli indicatori di carattere qualitativo, capaci cioè di evidenziare la qualità delle prestazioni effettuate, tenendo conto della centralità che assume la persona, in particolar modo nelle organizzazioni non profit. Utili si rivelano poi quegli indicatori capaci di esprimere l’incidenza dei costi di struttura e la loro evoluzione temporale.

Una parte di tale documento dovrà essere inoltre dedicata a presentare e descrivere il quadro istituzionale dell’ANP e ad illustrare il suo assetto organizzativo assieme ai piani ed ai programmi che hanno caratterizzato e caratterizzano l’azione aziendale, e destinati a garantire il perseguimento della missione dell’ANP nel contesto ambientale di riferimento.

La Relazione di Missione è poi il preludio alla redazione di un vero e proprio bilancio sociale (attualmente obbligatorio solo per le imprese sociali, ex art.10 Dlgs 155/06), strumento capace di esprimere, assieme a quella economica, anche le dimensioni sociale e ambientale. Sarà questo un ulteriore passo per rappresentare in maniera sempre più trasparente l’utilità sociale delle ANP.

Viene infine giudicato molto utile predisporre anche un accurato bilancio preventivo capace di progettare e indirizzare l’attività dell’esercizio che si va ad affrontare. Chi ha a cuore un efficace impiego delle risorse, sempre limitate e sempre preziose, non può navigare a vista. Anche se la complessità del mondo rende difficile la progettazione di ogni attività, non è consigliabile mettersi in viaggio senza bussola. “Se non sai dove andare” dice il gatto ad Alice nel paese delle meraviglie “devi solo camminare, perché ogni strada ti ci porterà”. Ma non può certo essere questo l’approccio degli amministratori di un’azienda non profit.

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In questo quadro generale non sfuggono le molte affinità contabili tra il mondo del profit e quello del non profit. Il sistema contabile descritto volge, in certo qual modo, alla aziendalizzazione della realtà rappresentata. I due mondi muovono da punti di partenza simmetrici e camminano entrambi nella direzione che dà senso e significato a tutte le attività, vale a dire la persona. Se sapranno arricchirsi reciprocamente, senza diluire l’essenza della propria identità (costituita da quella diversa funzione che assumono i proventi, obiettivo per l’uno e strumento per l’altro, come pure del diverso significato che assume il risultato d’esercizio), ne trarrà “profitto” il Paese Reale.

 

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