Il Finanziamento del Terzo Settore
Il modo migliore per delineare i confini del così detto "terzo settore" è quello residuale. Nel panorama economico-sociale, l'area occupata dal settore pubblico (Stato ed Enti Pubblici) e quella ove opera il privato (Imprese e Famiglie) sono entrambe di facile ed intuitiva definizione. Ebbene il terzo settore è tutto ciò che sta nel mezzo e non trova idonea collocazione in nessuno degli altri due.
Sono così riconducibili a questa area eterogenea ed affollata varie tipologie di organismi: fondazioni, comitati, organizzazioni di volontariato, cooperative sociali, organizzazioni non governative (ONG), circoli aziendali (CRAL), associazioni sportive dilettantistiche, associazioni di promozione sociale. Molti di tali organismi possono anche rientrare nel novero delle ONLUS, vale a dire organizzazioni non lucrative di utilità sociale, le quali non sono una categoria a sé ma una veste fiscale utilizzabile a determinate condizioni dagli organismi medesimi.
Ciò che accomuna questo composito aggregato è l'obiettivo di dare una risposta a tutte quelle istanze sociali cui né il "pubblico" né il "privato" sono in grado di assecondare. Si tratta di un mondo variegato, policromo, animato tuttavia dalla vocazione alla generosità e alla solidarietà, tant'è che viene spesso designato anche come "non profit" proprio per sottolinearne questa sua gratuità.
Con il declino del welfare state, lo spazio del non profit si sta allargando e continuerà a farlo in futuro. Questo processo di espansione indurrà la gran parte delle organizzazioni ivi operanti ad abbandonare quello spontaneismo, un po' approssimativo, che ne ha caratterizzato lo slancio originario, per ricercare invece un assetto organico che, nel rispetto delle singole specificità di quel mondo variopinto, lo promuova al rango di stabile interlocutore delle istanze sociali che su di esso si stanno catalizzando.
Non è però possibile dimenticare che qualunque attività umana assorbe risorse e quando il loro reperimento è affidato solo alla generosità, anche l'attività che si intende realizzare risulta frammentaria, discontinua e comunque subordinata a comportamenti esterni. Dal momento invece che le incombenze del terzo settore diventano sempre più definite e continuative, occorre ricercare maggiore autonomia e stabilità al flusso delle risorse assorbite dalle organizzazioni non profit. Quelle tradizionali, infatti, costituite - a seconda del profilo dell'ente - dai contributi degli aderenti o affidate alla generosità dei privati attraverso donazioni e lasciti, oppure ai sempre più esili e saltuari contributi pubblici, non consentono la progettazione e la continuità di quell'opera di grande civiltà che il terzo settore è chiamato a realizzare.
Con la Legge quadro n°328 del 2000, lo Stato ha tentato di realizzare un sistema integrato di interventi e servizi sociali correlando le attività sociali del mondo non profit con quelle pubbliche, peraltro più dichiarate che concretamente realizzate. Nel ripartire le scarse risorse del Fondo Nazionale per le Politiche Sociali a favore di Comuni e Regioni, lo Stato ha assegnato una collocazione centrale alla "sussidiarietà". E' questo un principio mutuato dalla dottrina sociale della Chiesa Cattolica e recepito anche dalla Comunità Europea all'articolo 5 del Trattato, principio che sancisce il non intervento del "pubblico" laddove altri possano meglio perseguire gli obiettivi di una qualsivoglia iniziativa. Esso è la definitiva consacrazione del valore della "responsabilità" all'interno dei sistemi democratici adulti.
Occorre allora domandarsi a quali risorse può attingere il terzo settore se esso da un lato vede espandere compiti e competenze, e dall'altro inaridirsi il sostegno pubblico, mentre le risorse autonome risultano discontinue e comunque modeste.
Una prima risposta che il non profit si è data, è stata quella di attuare nuove forme di raccolta fondi attraverso gare di solidarietà collettiva come Telethon o la vendita di prodotti in determinate epoche dell'anno (fiori, stelle di natale, uova di pasqua e quant'altro). Sebbene tali iniziative abbiano dato e continuino a dare eccellenti risultati, è ragionevole pensare che la loro reiterazione finirà per trasformarle in routine, affievolendone lo slancio. A quel momento i problemi del finanziamento stabile e continuativo del terzo settore resteranno irrisolti.
Se allora si conviene sulla necessità che il fund raising debba assumere un flusso costante idoneo al raggiungimento delle finalità istituzionali del terzo settore, diviene necessario esplorare altre soluzioni. Una strada che appare interessante è quella di approntare nuove modalità collaborative tra il non profit e le aziende private.
Queste ultime stanno avvertendo sempre più il bisogno di ispirare i loro comportamenti a principi etici che, pur lasciando intatta la capacità di produrre reddito, possano esprimere anche un valore aggiunto in termini di responsabilità sociale, proprio perché questo profilo appare sempre più determinante per assicurare il successo negli affari.
In un primo momento questa "sensibilità" sembrò un po' strumentale, una specie di moralismo di ritorno, perché alcune aziende batterono questi sentieri allo scopo di indennizzare la collettività per una qualche loro colpa. Ad esempio una delle sette sorelle del petrolio sostenne, per lungo tempo e con cifre rilevanti, varie iniziative a tutela dell'ambiente dopo aver causato un disastro ecologico. Ikea ha finanziato con centinaia di milioni di dollari l'Unicef dopo la scoperta che si era servita di bambini pakistani e filippini per produrre i suoi tappeti. La cronaca registra comunque vari altri casi analoghi.
Poi però pian piano si è fatta strada l'idea che "good ethics is good business" e cioè che la gente premia quelle imprese che si mostrano sensibili alla responsabilità sociale ed ambientale, così che quest'ultime hanno ripensato le loro strategie di marketing.
Non più allora nel bivacco di una generosità un po' pelosa e comunque saltuaria nei confronti della società che le circonda, bensì un inedito approccio nella direzione di un nuovo coraggioso progetto per infondere anima al profitto.
Per la verità questa recente vocazione etica delle imprese non trova consensi generalizzati. L'economista Fred Hirsh, ad esempio, sosteneva anch'egli che la sola speranza di sopravvivenza del capitalismo fosse legata appunto ad un suo ripensamento in chiave morale. Poi però, un po' cinicamente, aggiungeva che non sarebbe stato tanto necessario essere morali, quanto farlo credere.
Ai fini della nostra indagine, tuttavia, la cosa non è così determinante: sarebbe infatti bello che tutti ci comportassimo bene per amore del paradiso, ma è pur sempre accettabile che lo si faccia anche solo per paura dell'inferno. Senza quindi scavare sulla genuinità dei sentimenti, rimane il fatto che il rilancio di alcuni settori compromessi sotto il profilo etico da varie vicissitudini, passa attraverso una rinnovata attenzione al sociale.
E' legittimo allora immaginare che il settore non profit in cerca di un flusso stabile di risorse ed il mondo delle imprese sempre più attratto da istanze etiche, finiscano per incrociare e legare i loro destini.
Questo luogo di incontro è quello delle sponsorizzazioni, al quale tuttavia il terzo settore può accedere solo nel rispetto di determinate condizioni che ne salvaguardino i valori ispiratori dell'azione sociale.
Il percorso per ricercare un buon partner - mecenate in edizione moderna - non è mai un'operazione semplice, poiché la sponsorizzazione è una forma di pubblicità a due che deve trovare nel binomio una idonea capacità espressiva per entrambi i contraenti. E' un'operazione che si snoda nel complesso mondo della "comunicazione" e quindi da studiare accuratamente e non certo da improvvisare attraverso soluzioni apparentemente semplici.
La valutazione dell'efficacia di una sponsorizzazione è la risultante di una somma algebrica che teoricamente potrebbe avere anche un risultato negativo in termini di immagine per uno dei contraenti e c'è da scommettere che in questo caso non sarebbe certo il più forte a farne le spese.
Nonostante ciò la strada delle sponsorizzazioni intelligenti, si prospetta come interessante strumento per trasferire stabilmente risorse dal settore "privato" al "terzo settore", naturalmente mirando sempre a forme di sinergia che possano rivelarsi fecondi investimenti per entrambi i contraenti.
E' insomma da queste aree che le tradizionali fonti di finanziamento del non profit possono ottenere una certa stabilità che conferisca altrettanta continuità al loro output.