La Fiscalità nel Terzo Settore La Fiscalità nel Terzo Settore

La incredibile varietà di organizzazioni che affollano il Terzo Settore, coniugata con la frammentarietà del sistema tributario del nostro Paese, rende complessa una indagine sulla fiscalità dell’area non profit.

Del resto non esistendo una definizione giuridica di Ente Non Profit, non può nemmeno esistere una disciplina fiscale specifica di tale composita categoria. Quello che il legislatore tributario prende in considerazione è – invece - l’Ente Non Commerciale, definito come organismo che non ha per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali.

La configurazione “residuale” di Ente Non Commerciale crea, ovviamente, notevoli problemi allo stesso legislatore tributario che si vede costretto a focalizzare la sua attenzione soprattutto sulla effettiva attività svolta dall’ente, in quanto la sola tipologia non è, di per sé, la discriminante della sua assoggettabilità o meno agli obblighi tributari.

Appare subito scontato che l’attività “istituzionale” di una organizzazione che si proponga di perseguire - a seconda dei casi - solidarietà, assistenza, tutela dei diritti civili, beneficenza, ricerca scientifica, cooperazione, ecc., debba usufruire della totale esenzione dal prelievo fiscale. Tuttavia, accanto a quella istituzionale, le aziende non profit svolgono spesso anche altre attività che assumono connotazioni ora affini a quelle istituzionali, talora invece più vicine a quelle economiche in senso stretto. E’ appunto questa area composita che il legislatore tiene sotto osservazione per stabilire la reale natura dell’ente e, soprattutto, per individuare quali debbano essere gli adempimenti conseguenti.

Anche la stessa area istituzionale, tuttavia, non sempre risulta di agevole definizione. Per cui occorre, in primo luogo, un accurato esame dell’atto costitutivo e dello statuto, ove è necessario siano state recepite non solo le prescrizioni legislative previste per la singola tipologia di ente, ma anche tutte quelle condizioni e quei vincoli idonei a definire in maniera il più possibile chiara la mission dell’ente interessato. Sotto questo profilo assume grande rilievo la forma con la quale vengono redatti lo statuto e l’atto costitutivo, forma che deve comunque essere almeno quella della scrittura privata registrata, sebbene siano di gran lunga preferibili soluzioni quali l’atto pubblico o la scrittura privata autenticata.

Ben più complessa risulta invece l’indagine sull’aggregato costituito da tutte quelle attività “paraistituzionali” cui conseguono comportamenti ed obblighi variamente articolati a seconda della tipologia di organizzazione e della normativa fiscale cui si fa riferimento. Per effettuare questa indagine occorre analizzare i tre diversi livelli fiscali propri di gran parte del terzo settore:

 

un livello base costituito dal DPR 22/12/86 n°917, cioè il TUIR – Testo Unico delle Imposte sui Redditi, che individua alcune attività, pur potenzialmente commerciali, che non sono considerate tali quando poste in essere da un ente non commerciale: servizi non art.2195 C.C., raccolte occasionali, attività in regime di convenzione. Lo stesso TUIR, sebbene l’attività prevalente debba rimanere quella “principale”, prevede che tali enti possano svolgere anche un’attività secondaria commerciale, intendendo con ciò la cessione di beni o di prestazioni di servizi verso pagamento di corrispettivi specifici;

 

un secondo livello è quello delle ONLUS – Organizzazioni non Lucrative di Utilità Sociale previste dal Dlgs. 460/97, ove occorre distinguere tra onlus di diritto (quelle sostanzialmente automatiche di cui al c.8 dell’art.10 del Dlgs 460) e quegli organismi che invece scelgono di essere Onlus, impegnandosi a rispettarne la normativa. Queste ultime – a differenza degli Enti Non Commerciali – non possono per definizione svolgere alcuna attività economica (“esclusivo perseguimento di finalità di solidarietà sociale”, comma 1/b art.10 Dlgs 460): sarebbe infatti una palese contraddizione in termini. Ovviamente, però, accanto all’attività istituzionale, anche le onlus non automatiche possono svolgere un’attività direttamente connessa che quasi sempre è un’attività “commerciale”, ma che proprio in quanto attività connessa, fa sì che i relativi proventi non concorrano alla formazione del reddito imponibile. L’esercizio di tali attività è consentito a condizione che i proventi delle attività connesse non superino il 66% delle spese complessive dell’organizzazione, vale a dire:

Proventi Istituzionali(PI) + Spese Istituzionali (SI) +
Proventi Attività Connesse (PAC) = Spese Attività Connesse (SAC)
Totale Proventi (TP)<7td> Totale Spese (TS)
ove PAC < 66% TS.

 

Ciò comporta che – anche a fini di controllo – l’impianto contabile di una onlus non automatica debba osservare una netta separazione tra attività istituzionali e attività connesse “commerciali”. C’è altresì l’obbligo di predisporre il bilancio relativo all’attività complessiva, comprendendovi quindi la sfera istituzionale con ripartizione dei costi promiscui secondo formule stabilite per legge. Può tuttavia accadere che un ente si dichiari onlus ma che poi svolga un’attività di natura essenzialmente commerciale. Di conseguenza tutta l’impostazione complessiva viene a qualificarsi (o viene dichiarata dall’Authority) come puramente commerciale, mutando con ciò radicalmente i criteri di determinazione della base imponibile. Non sono infatti poche le onlus che, dall’attività congiunta dell’Agenzia delle Entrate e dell’Agenzia per il Terzo Settore, sono state multate o hanno perso la qualifica. Diverso è il discorso per le onlus automatiche (organizzazioni di volontariato iscritte nell’albo regionale, cooperative sociali, ONG, ecc.) che possono invece svolgere, a certe precise condizioni, un’attività commerciale “marginale”. Ma vediamo meglio questi aspetti, analizzando il successivo:

 

terzo livello, ove si concentrano le varie disposizioni dedicate specificatamente a molte categorie di ANP, appunto onlus di diritto, come le associazioni di volontariato (L.266/91), le organizzazioni non governative (ONG: L.49/87), le cooperative sociali (L.381/91). Soffermiamoci soprattutto sugli organismi di tipo associativo, sebbene le considerazioni che seguono possano essere estese senza particolari modifiche alle altre tipologie. Nelle associazioni (anche politiche, sindacali, religiose, assistenziali, culturali, sportive, di categoria) l’attività svolta nei confronti degli associati e partecipanti, nel rispetto delle finalità istituzionali dell’ente, non è considerata attività commerciale, a condizione, tuttavia, che venga rispettato il principio della “marginalità” (sono definite marginali dal DM 25/05/95 le attività ci cui sia documentato il loro totale impiego per fini istituzionali). Sono invece sempre considerate attività commerciali, la cessione di beni e la prestazione di servizi agli associati verso pagamento di corrispettivi specifici, come pure l’attività pubblicitaria e la somministrazione di alimenti e bevande, che si collocano nell’area della “extramarginalità” e il loro svolgimento fa sempre scattare gli obblighi dichiarativi.

 

Limitandoci – a titolo di esempio – alle Associazione di Volontariato (che hanno, appunto, una natura fiscale complessa, essendo – ad un tempo – enti non commerciali, onlus di diritto e organizzazioni di volontariato), potremmo concludere che la c.d. “attività istituzionale” è quella strettamente desumibile dallo statuto, ma anche quella derivante da attività commerciali marginali equiparate a quelle istituzionali, assieme ai proventi da convenzioni. Tali organizzazioni possono però svolgere anche un’attività “extramarginale” (sempre nella proporzione del 66% rispetto agli oneri complessivi) che diviene fiscalmente rilevante con connotazioni di “reddito d’impresa”, e che fa appunto scattare gli obblighi dichiarativi nonché il pagamento dell’imposta, pur con regimi agevolativi. 

La tabella che segue riepiloga sommariamente le considerazioni sin qui svolte sul controverso e sfuggevole tema delle attività “connesse”.

 

Tipologia Ente Attività istituzionali Obbligo tenuta libri Obblighi dichiarativi Agevolazioni fiscali
Ente Non Commerciale        
Attività istituzionali SI SI SI/Esenti    
Att.consid. non comm.li NO SI SI/Esenti    
Att.commerciali NO SI SI/Tassate Possibili  
ONLUS(non autom.(1))          
Attività istituzionali SI NO (2) NO (3)    
Attività non comm.dirett.connesse.          
   paraistituzionali NO SI SI/Esenti    
    integrative-accessorie NO SI SI/Esenti    
Attività commerciali(4) NO SI SI/Tassate NO    
Associazioni Volontariato          
Attività istituzionali SI NO (5) NO    
Att.commerciali marginali SI NO (5) NO    
Att.convenzionate   SI NO (5) NO    
Att.extramarginali NO SI SI/Tassate SI    

 

  1. quelle automatiche o di diritto possono optare tra la normativa fiscale del Dlgs. 460/97 o quella di maggior favore eventualmente prevista per la specifica tipologia;
  2. solo se la onlus svolge esclusivamente attività istituzionale in senso stretto;
  3. in assenza di altri redditi (fondiari, ecc.);
  4. vietate alle onlus non automatiche di cui all’art.10 del Dlgs 460/97, peraltro riscontrabili talvolta nella pratica;
  5. il DL 35/05 (+dai, -versi) induce sostanzialmente ad una regolare tenuta dei libri.

 

Sono state sinora sviluppate considerazioni attinenti prevalentemente la sfera delle Imposte sul Reddito delle Aziende Non Profit, poiché una definizione la più chiara possibile dello spartiacque tra attività istituzionali, paraistituzionali e commerciali, è il presupposto per meglio comprendere non solo come opera l’imposta sui redditi, ma anche le altre imposte e tasse cui sono, o possono essere, soggette le organizzazioni presenti nel terzo settore. Vediamole:

 

IVA: Se titolare di reddito d’impresa e nel rispetto dei presupposti (soggettivo, oggettivo, territoriale), l’organizzazione è anche soggetto Iva. Se invece vive esclusivamente di entrate e proventi non commerciali, non ha alcun obbligo dichiarativo. Naturalmente l’Iva pagata all’acquisto sarà – come per il comune privato – una semplice componente del prezzo. Nel caso in cui il problema riguardi un’associazione di volontariato che svolge una “marginale” attività commerciale, essa può scegliere tra il regime della L.266/91 (che la esonera da ogni genere di obblighi, rimanendo l’imposta inscindibile dal prezzo), o il regime generale onlus (che prevede la recuperabilità dell’iva afferente la sfera commerciale).

 

IRAP: Tutte le aziende operanti nel terzo settore sono soggette all’Irap (di cui al DL 15/12/97 n°446), ovviamente se effettuano retribuzioni a dipendenti o se si avvalgono di prestazioni occasionali di lavoro autonomo.

 

ICI: Ne sono esenti gli immobili utilizzati per attività assistenziali, previdenziali, sanitarie culturali, ricreative (art.7 c.2/bis DL 203/2005). Vi sono invece soggetti gli immobili con diversa destinazione.

 

SOSTITUTI D’IMPOSTA. Le ANP sono sostituti d’imposta e come tali debbono versare entro i termini stabiliti le ritenute effettuate, con l’onere di redigere il Mod. F 24 e la dichiarazione annuale mod.770.

 

Per completare il quadro occorre aggiungere, riprendendo il tema delle IMPOSTE SUL REDDITO, che:

  1. per i redditi fondiari, la relativa imposta è dovuta anche per gli immobili utilizzati per le attività istituzionali;
  2. i redditi di capitale sono quasi tutti tassati a titolo definitivo dal sostituto di imposta;
  3. i redditi diversi, che sono una categoria residuale comprendente plusvalenze, redditi di immobili ubicati all’estero, ecc., non riguardano di norma le organizzazioni del non profit.

 

Come già accennato il reddito (eventuale) complessivo delle ANP si calcola mediante la sommatoria delle quattro categorie citate: fondiari, di capitale, d’impresa e diversi, analogamente a quanto previsto per le persone fisiche.

 

L’argomento della fiscalità delle aziende del terzo settore, non sarebbe completo se fossero trascurate le normative che riguardano i benefici che competono ai donanti.

Al momento coesistono due discipline:

  1. quella del TUIR 917/86 che prevede la deducibilità per le persone fisiche di € 2.065,83 quale detrazione lorda, e per le imprese una pari detraibilità fino al 2% del reddito dichiarato;
  2. quella innovativa conosciuta come il “più dai meno versi”, introdotta dal DL 14/03/2005 n°35 (convertito in Legge 14/05/05 n° 80), che consente una detrazione dal reddito imponibile delle persone fisiche e delle imprese, di un importo non superiore al 10% del reddito complessivo dichiarato fino ad un massimo di € 70.000.

 

Occorre precisare che la più recente disciplina non ha abrogato la precedente, per cui ci si può avvalere a scelta di entrambe. Si pensi, ad esempio, alle imprese con un reddito superiore ai 3,5 milioni di euro che, applicando il 2% previsto dal TUIR, possono superare in donazioni i 70.000 euro previsti dal DL 35/05. E’ ovviamente esclusa la possibilità di cumulare le due agevolazioni.

Tuttavia, affinché l’agevolazione possa essere legittimamente attribuita al donatore, i soggetti destinatari hanno l’onere di attenersi a determinate norme amministrative. Le onlus in particolare debbono adottare scritture contabili idonee a rappresentare con completezza ed analiticità le operazioni poste in essere nel periodo di gestione, nonché redigere entro 4 mesi dalla chiusura dell’esercizio, uno specifico documento che rappresenti esaurientemente la situazione patrimoniale, economica e finanziaria. Sono previste sanzioni per coloro che, avvalendosi di tali norme, espongono indebite deduzioni. Qualora però sia stata la onlus ad indurre in inganno, saranno gli amministratori di questa a rispondere.

 

 

Nelle organizzazioni non profit si riscontra spesso un certo atteggiamento agnostico verso tutto ciò che è fiscale. Tuttavia non conoscere la normativa porta, nel migliore dei casi, a non poterne cogliere le opportunità, mentre nel peggiore può causare l’insorgere di contenziosi con l’Amministrazione Finanziaria, con possibile coinvolgimento degli stessi soggetti eroganti. 

E’ facile intuire insomma come la perdita di “appeal” di una organizzazione non profit inidonea a gestire norme che rischiano di ritorcersi contro i propri stakeholder, determinerebbe un grave danno di immagine che nessuna ANP può permettersi.

E’ dunque necessario che pure il Terzo Settore favorisca la crescita culturale del proprio personale anche nell’arido, ma necessario, ambito tributario.

 

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