Il Controllo nel Terzo Settore Il Controllo nel Terzo Settore

Il controllo è una categoria della democrazia. Potremmo anche sostenere che il controllo è l’altra faccia della democrazia. Nerone, Mao, Hitler o i Faraoni, non si sognavano nemmeno che il loro operato potesse essere sottoposto al controllo di chicchessia. Mentre invece quando si agisce in rappresentanza di altri e nell’interesse della collettività, allora assoggettarsi al controllo, alla verifica del proprio operato, diviene una condizione di ordinaria convivenza. E se poi si tratta di organizzazioni che operano nel terzo settore, la trasparenza acquista ancor più valore irrinunciabile, perché la responsabilità sociale di un corretto utilizzo delle risorse ottenute, private o pubbliche che siano, presuppone un controllo accurato, idoneo ad alimentare una crescente reciproca fiducia nella catena donante-organizzazione-beneficiario.

 

Non è tuttavia facile descrivere le attività di controllo nell’ambito del terzo settore perché esso è costituito da una galassia di organismi, operanti oltretutto in settori eterogenei (dalle Associazioni di Volontariato alle Cooperative Sociali, dagli Enti Ecclesiastici alle Fondazioni, dalle Associazioni di Promozione Sociale alle Organizzazioni Non Governative, ecc.), ragione per cui questa nota si limita a tratteggiare il problema nelle sue linee generali.

Le procedure di controllo possono sostanzialmente essere analizzate da due diversi punti di vista. In primo luogo le modalità di riconoscimento degli Enti: da esse scaturiscono infatti utili indicazioni circa le formalità del controllo. Una seconda diversa ottica è invece quella dei soggetti incaricati di eseguirlo, che possono essere – come noto – interni ed esterni.

Attengono, ad esempio, al primo ordine di considerazioni le modalità di riconoscimento di Associazioni e Fondazioni di cui al I° Libro del C.Civ., riconoscimento che viene concesso dall’Autorità Governativa (o Regionale) attraverso l’iscrizione nel Registro delle Persone Giuridiche presso le Prefetture o le Regioni. Parimenti le Associazioni di Volontariato che debbono ottenere l’iscrizione ai sensi della L.266/91 nell’Albo Regionale (o Province Autonome), ed è così per le ONG che devono richiedere preventivamente l’idoneità al Ministero degli Esteri ai sensi della L.49/87. Accanto a questa procedura di riconoscimento, che potremmo definire“concessoria”, ne esiste un’altra “normativa” prevista per gli Enti del Libro V° del C.Civ. (in particolare le Cooperative Sociali) e che si realizza attraverso l’iscrizione nel Registro delle Imprese, dopo una verifica notarile dei requisiti di legge. Ebbene, in questo composito quadro di procedure per il riconoscimento degli Enti non profit, compaiono tutte le indicazioni di legge o di previsione statutaria che delineano abbastanza bene criteri e modalità che dovrà assumere il controllo. In sostanza L’Authority competente concede il riconoscimento solo a condizione che venga previsto un efficace sistema di verifiche. Laddove, poi, vi sia una responsabilità personale di soci o membri in genere, come le Associazioni non riconosciute o i Comitati, ancor più chiaramente emerge per gli interessati l’esigenza che vengano attuate idonee forme di controllo proprio per circoscrivere quelle loro responsabilità personali.

Per quanto concerne i soggetti incaricati dei controlli interni, questi sono – al di là ovviamente degli stessi Amministratori – i Membri del Collegio Sindacale. Tale organo, dopo il Dlgs. 6/04, può assumere la configurazione tradizionale, come quella monistica o dualistica. Incaricati dei controlli esterni sono invece i Revisori i quali, sebbene non sempre esplicitamente previsti, vengono spesso auspicati proprio in quell’ottica di trasparenza e di “accountability” che cammina di pari passo con la responsabilità sociale del non profit (come pure del for profit).

Quale che sia l’organismo che li esegue, i controlli debbono essere indirizzati verso la tutela di una serie di interessi convergenti: vale a dire quelli dei donatori e della pubblica fede nel caso di utilizzo di fondi pubblici, quelli della PA per le agevolazioni fiscali, nonché quelli della collettività servita. Essi sono sostanzialmente di quattro tipi:

Controllo Legale: teso a verificare la qualificazione giuridica e la rispondenza alle norme sui requisiti oggettivi e soggettivi, come pure degli adempimenti formali, nonché l’applicazione in primis della eventuale normativa specifica;

Controllo sull’effettivo perseguimento dei fini istituzionali: che i esplica a più livelli per accertare la coerenza con la mission, cioè con l’utilità sociale che si è scelto di perseguire, nonché la verifica della “produzione” di tale utilità globalmente intesa. Si tratta di una categoria di controlli complessa soprattutto per le difficoltà di reperire sul mercato adeguate competenze tecniche per tale genere di valutazioni;

Controllo Amministrativo e Contabile: sostanzialmente simile a quello effettuato sulle aziende for profit, ma con una speciale attenzione agli obblighi iscritti nell’attività istituzionale dell’Ente. In particolare le modalità di rilevazione delle liberalità ricevute e delle attività commerciali accessorie svolte a margine dell’attività istituzionale;

Controllo Fiscale: che ha rilevanza soprattutto in funzione delle agevolazioni in materia tributaria previste per il Terzo Settore, e comunque distinguendo tra norme che attengono a tutti gli Enti non profit, a quelle che riguardano gli Enti di tipo associativo ed a quelle previste per le Onlus.

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Ma sono proprio le considerazioni svolte attorno alle Onlus ad introdurre l’argomento più interessante, almeno in prospettiva, in fatto di controlli sul Terzo Settore. Per il momento le Onlus, come noto, non costituiscono un vero e proprio soggetto giuridico, ma solo una categoria meramente fiscale. In altre parole non esistono nel nostro ordinamento giuridico le Onlus in quanto tali, mentre invece esistono – ad esempio – Cooperative che sono anche Onlus, Fondazioni che sono anche Onlus, Associazioni di Volontariato che sono anche Onlus, ecc. Peraltro nel decreto 460/97 istitutivo appunto di tali organismi, è accuratamente descritta l’Authority che nel tempo dovrà tutelare tutti i compositi interessi convergenti nell’universo non profit. Si tratta dell’Agenzia per le Onlus Terzo Settore che, secondo quel decreto, rappresenta “l’organismo di controllo sugli enti non commerciali e sulle organizzazioni non lucrative di utilità sociale”. L’Agenzia è chiamata ad esercitare poteri di indirizzo, promozione, vigilanza e controllo di tutto il Terzo Settore. Più in particolare sono queste le sue competenze:

  1. vigilare sull’attività di raccolta fondi e di sollecitazione della fede pubblica,
  2. segnalare le distorsioni delle varie attività,
  3. rendere pareri vincolanti sulla devoluzione del patrimonio delle Onlus sciolte,
  4. collaborare con il Ministero delle Finanze (ora Tesoro e Finanze) per la uniforme applicazione della normativa tributaria,
  5. raccogliere, aggiornare e monitorare i dati di tutte le Organizzazioni non profit,
  6. elaborare proposte sull’organizzazione dell’Anagrafe Unica delle Onlus di cui all’art.11 del Dlgs 460/97, tenendo conto delle norme sulle Associazioni di Volontariato (L.266/91), delle Cooperative Sociali (L.381/91) e delle Organizzazioni Non Governative (L.49/87).

In prospettiva, insomma, l’Authority per il Terzo Settore è destinata a diventare un punto di riferimento normativo, di consultazione e di controllo, nonchè ad assumere un ruolo propulsivo di tutte le organizzazioni che ruotano attorno al non profit.

 

Al momento, tuttavia, la situazione è abbastanza controversa perché si verificano continue sovrapposizioni tra l’Agenzia delle Entrate, che al momento assolve surrettiziamente il compito di tenere l’Anagrafe Unica delle Onlus (con la circ.22/E del 16/05/05, l’iscrizione non è più automatica, ma subordinata al preventivo controllo della DRE) e l’Agenzia per le Onlus, con conflitti finiti anche al TAR.
Naturalmente quando l’Agenzia per le Onlus assumerà in pieno i compiti istituzionalmente affidatile, disporremo di un’unica Autorità Amministrativa indipendente (di indirizzo e di vigilanza) sull’esempio della Charity Commission inglese, la quale svolgerà una preziosa attività di regia dell’intero Terzo Settore. E’ questa una funzione di cui si avverte bisogno e urgenza perché, come affermava recentemente De Rita del Censis, finora nessuno ha mai verificato quanta qualità ci sia nel Terzo Settore, anche perché esso è un fenomeno che va ben al di là del semplice volontariato. Tutta l’area, comunque, manifesta nel suo complesso una certa disponibilità ad essere oggetto di valutazione. Alcuni mesi or sono – infatti – per conto della Fondazione Unidea di Unicredito, la società Ermeneia ha svolto una accurata indagine su 350 ANP che si sono espresse a favore della costruzione di un sistema valutativo del loro operato. Superata infatti la fase dello spontaneismo, un tale sistema di rating finirebbe per sollecitare un miglioramento della gestione, rendendo più forte il radicamento territoriale e assecondando quell’indispensabile salto qualitativo verso la piena maturità delle ANP. I risultati dell’indagine sono molto incoraggianti perché più del 97% degli intervistati si è espresso a favore, seppure con motivazioni diverse, di un sistema di controllo e misurazione dei risultati.

“Misurare è la chiave” sosteneva Harrington “Se non si misura, non si può tenere sotto controllo. Se non si controlla, non si può gestire. Se non si gestisce, non si può migliorare”.

Con la nuova configurazione che va assumendo il “welfare”, il ruolo del Terzo Settore sarà sempre più vasto ed impegnativo. Un efficace sistema di controlli lo aiuterà in questo stimolante processo di crescita. 

 

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