L'Organizzazione nelle Istituzioni del Terzo Settore
Esistono 9500 specie di formiche che differiscono tra loro quanto gli elefanti dalle tigri e dai topolini, tanto è vero che una intera colonia della specie più piccola potrebbe stare tutta nella testa della specie più grossa.
Qualcosa di simile accade nelle Istituzioni che affollano il cosiddetto "terzo settore". Sebbene le categorie non siano così numerose quanto le formiche, la grandissima variabilità delle strutture che operano nel non-profit, va a comporre uno scenario molto simile. Per dati di bilancio, ad esempio, l'intero aggregato delle associazioni di volontariato che si dedicano all'assistenza sociale, rappresenta una frazione neanche tanto considerevole della fondazione bancaria più grande.
Oltre tale variabilità economica, c'è anche una grande eterogeneità di settori nei quali operano le aziende non-profit (ANP, ma anche ONP = organizzazioni non-profit, ENP = enti non-profit, INP = istituzioni non-profit), settori che vanno indifferentemente dalla cultura, allo sport, alla ricreazione; dall' istruzione e ricerca, alla sanità, all'assistenza sociale; dall'ambiente allo sviluppo economico; dalla tutela dei diritti, alla filantropia; dalla cooperazione e solidarietà internazionale, alla formazione e promozione religiosa. E non solo.
Anche in termini di categorie giuridiche la varietà non è meno articolata. Sono infatti riconducibili al terzo settore almeno questi soggetti:
- Organizzazioni di volontariato,
- Associazioni di promozione sociale,
- Associazioni riconosciute,
- Associazioni non riconosciute,
- Comitati,
- Istituti di Patronato,
- Società di mutuo soccorso,
- Ipab, istituzioni di pubblica assistenza e beneficenza privatizzate,
- Ong, organizzazioni non governative,
- Enti di formazione professionale,
- Fondazioni riconosciute,
- Fondazioni non riconosciute,
- Enti lirici,
- Enti ecclesiastici cattolici,
- Enti religiosi di altre confessioni,
- Cooperative sociali,
- Fondazioni e Associazioni bancarie,
Neanche il riordino previsto da una recente legge delega che ricondurrà tutte le ANP nell'ambito di due grandi famiglie (member service e public service) modificherà nella sostanza questo variegato mosaico.
Con tali premesse, appare allora velleitario qualunque tentativo di prospettare, seppure per linee generali, indicazioni organizzative che possano aver significato per un così composito aggregato.
Quello dell'organizzazione è però un tema di grande rilievo in tutte le attività umane e quindi non può essere eluso solo perché quelle del "terzo settore" sono istituzioni che differiscono tra loro come le specie delle formiche.
Non a caso allora quell'elenco per categorie giuridiche è stato ordinato secondo un grado decrescente di affinità organizzativa, per cui le considerazioni che seguono perdono significato man mano che si scende nella scala, fino ad azzerarsi pressoché completamente.
I punti in comune tra le associazioni di volontariato e le fondazioni bancarie (prime e ultime nell'elenco), sono infatti ben pochi, salvo quei caratteri generali che contraddistinguono il non-profit, vale a dire la non distribuzione degli utili, l'autogoverno, la natura privata e volontaria ed, infine, il fatto che - come tutte le ANP - esse si avvalgono di una struttura organizzativa formale.
Si può partire proprio da quest'ultima considerazione per riflettere sul valore di una efficiente organizzazione. Lo spontaneismo che anima il volontariato sembra lontano dal formalismo di una fondazione bancaria, eppure entrambi debbono fare i conti con una apparente dicotomia: fare molto/fare bene. Ed è proprio qui che entra in gioco l'organizzazione. Essa è infatti la capacità di ricercare costantemente la combinazione migliore tra il fare molto e il fare bene, tra l'efficienza e l'efficacia. E poiché le strutture evolvono, le soluzioni organizzative debbono tendere costantemente a quell'equilibrio dinamico che diventa così la misura della loro attitudine a realizzare la mission per cui sono state pensate. E questo vale per il non-profit come per il for-profit perché l' organizzazione efficiente è uno degli ingredienti base per il successo di ogni attività umana.
L'approccio tradizionale al terzo settore lascia tuttavia aperti alcuni problemi relativi al corretto funzionamento organizzativo, quali il rischio di subottimalità, o quello di distorsione dei fini associativi. Permane poi la delicatezza dei meccanismi di controllo interno che si coniugano male con la gratuità prevalente delle prestazioni.
Insomma è un dato di fatto che lo spontaneismo finisce molto spesso per confliggere con l'esigenza di strutture organizzative capaci di convogliare in un binario di efficienza l'output delle ANP.
Ma così come è vero che il terzo settore non può trascurare gli spazi di autonomia dei membri è altrettanto vero che esso è chiamato ad un ruolo inedito e più impegnativo nella nuova concezione di Stato Sociale. Conseguentemente il terzo settore deve, da un lato, continuare ad alimentare al proprio interno quelle pratiche caratteristiche, come la partecipazione diretta e le discussioni collettive perché il legame con i partecipanti è fatalmente debole e più deperibile di quello meramente economico. Dall'altro lato occorre che si tenga parimenti in considerazione la necessità di interagire sempre meglio con la collettività di riferimento (stakeholders è un termine che si adatta bene anche al non-profit), la quale deve ricevere una accurata informazione dell'attività svolta dall' ANP e del corretto impiego delle risorse ricevute, proprio perché questo rafforza il radicamento sociale dell'ANP stessa.
Serve allora un cambiamento organizzativo capace di contemperare esigenze vecchie e nuove del terzo settore.
Occorre mantenere viva la mission e governare il cambiamento verso soluzioni capaci di ottimizzare le risorse. Occorre rifuggire dalla autoreferenzialità ed avere il coraggio di esprimere un crescente rigore nella gestione mediante la c.d. "accountability" che significa appunto affidabilità e responsabilità insieme, senza però dimenticare che gli irrinunciabili criteri di economicità possono spesso far affievolire il potenziale di innovazione, mentre gli eccessivi vincoli procedurali possono diventare l'anticamera di una ossificazione burocratica.
E' sempre un errore pensare a modelli organizzativi standard. Ma nel caso del terzo settore questo sarebbe un atteggiamento ancora più improvvido.
L'affidabilità organizzativa si misura, come dicevamo appunto, dalla sua attitudine a sorreggere la mission in uno scenario in perenne evoluzione. Deve quindi potersi esprimere attraverso strutture agili e versatili capaci di governare, anche proattivamente, il cambiamento.
Vediamo allora quale profilo potrebbero assumere le strutture organizzative del terzo settore affinché possano coniugare la funzione identificativa e l'orientamento etico con le capacità gestionali.
In prima approssimazione potremmo affermare che il settore for-profit offre già alcuni spunti di notevole interesse. Non è infatti un caso che, tempo addietro, il direttore finanziario della Oxfam, che è una delle maggiori organizzazioni non governative (ONG), abbia affermato: "non ho alcuna difficoltà ad ammettere che le ONG stanno sempre più diventando simili alle imprese, anzi ritengo che questo sia un fatto molto positivo".
Questo trend che è sempre meno una scelta e sempre più un percorso obbligato, è caratterizzato fatalmente da una progressiva formalizzazione, da una definizione di organigrammi sempre più elaborati, da una definizione dei ruoli più esplicita, dalla introduzione di processi informativi più accurati. Necessariamente più professionalità e più dipendenti, determinano una gerarchia più marcata e un clima interno più codificato, ma questo è un prezzo equo se il risultato sarà quello di sollecitare le ANP ad un salto qualitativo nel rapporto tra input e output.
L'impianto organizzativo deve essere capace di favorire lo sviluppo delle ANP attraverso la crescita e la capacità di adattamento (adattiva si chiama, non a caso, l'azienda verso cui si sta indirizzando lo stesso mondo imprenditoriale, un'azienda capace cioè non solo di accettare il cambiamento ma soprattutto di reagire in maniera rapida e adeguata alla sorpresa, all'evento nuovo), deve assecondare una feconda capacità di relazione con l'ambiente, deve valorizzare il grande capitale umano costituito dai donatori, dai fruitori, ma soprattutto dai volontari, perché è attraverso il loro impegno e la loro intelligenza che le organizzazioni operanti nel terzo settore potranno crescere ed evolvere in un mondo sempre più complesso e nel quale l' elasticità e l'efficienza delle strutture operative diventeranno sempre più decisive sia per il successo delle aziende non-profit che per quelle for-profit. In sostanza una vera e propria learning organization.
Occorre sviluppare una "responsabilità" di sapore un po' manageriale nel raggiungimento degli obiettivi, che sappia tuttavia tener conto delle difficoltà nella costruzione del consenso visto che nelle ANP la semplice condivisione della mission sembra essere troppo spesso l'unico valore che tiene insieme la struttura, senza dimenticare però che una gestione rigorosa è l'unica capace di far emergere il valore aggiunto esprimibile dal Terzo Settore.
Occorrono infine ruoli organizzativi specifici, come quelli capaci di coordinare l'apporto dei volontari e di assistere accuratamente l'utenza, servono responsabili di area e di progetto, servono mediatori culturali, ma sovente anche direttori generali, comunicatori sociali e fund raiser, elementi capaci cioè di attrarre risorse e di conferire alle stesse quella stabilità che è la base della programmazione dell'attività delle ANP. Non sono poi certo da dimenticare le strutture organizzative più tradizionali come Amministrazione, Legale, Organizzazione, Segreteria, Economato ecc, rifuggendo costantemente dal rischio di ossificazione burocratica.
Qualcuno teme che queste trasformazioni possano compromettere la natura comunitaria e partecipativa delle ANP. Si tratta di preoccupazioni da non trascurare, e proprio per questo motivo occorre che le ANP riescano ad esprimere un Organo Amministrativo di prim' ordine, capace di governare con equilibrio la struttura lungo un percorso di efficacia reale. L'organizzazione insomma non deve soffocare generosità e altruismo ma solo renderli più e meglio fruibili.